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Rubrica Leggerissima: “Margaret Moth e Lucy Lawless, le guerriere del cambiamento”

Margaret Wilson, poi Margaret Gipsy Moth, infine Margaret Moth e Lucille Frances Lawless, nata Ryan, detta Lucy che cos’hanno in comune oltre a un nome che si trasforma nel tempo e alle origini neozelandesi? Il docu-film “Never Look Away”, primo lavoro da regista dell’attrice e doppiatrice Lucy, incentrato proprio sulla fotoreporter di guerra Margaret Moth.

Il film è stato presentato all’inizio del 2024 al Sundance Film Festival e ha ottenuto un’ottima risposta di pubblico e critica e anche numerosi premi internazionali. A Siena è stato proiettato in anteprima meno di una settimana fa durante il “Terre di Siena Film Festival” con la presenza della neo-regista.

Ma chi era Margaret Moth?

Appassionata sin da bambina di fotografia – la prima macchina fotografica la riceve in dono a 8 anni – decide da adolescente di cambiare il proprio cognome perché a suo avviso “Wilson” non solo era troppo comune, ma non la rispecchiava affatto.

Frequenta l’università di Canterbury a Christchurch, ovviamente in fotografia e cinema, e diviene giovanissima la prima camerawoman della Nuova Zelanda. Tra le altre sue passioni, il paracadutismo e il look nero che la rende letteralmente magnetica.

Per lavoro si sposta in diverse città fino ad approdare negli States. Qui entra alla CNN e gira il mondo per documentare situazioni spesso violente. È suo ad esempio il reportage del 1984 sull’assassinio di Indira Gandhi.

Coraggiosa, professionale, bravissima, sopra le righe, Margaret Moth negli anni Novanta segue tutti gli svolgimenti della Guerra del Golfo. Si muoveva con i soldati, a volte come i soldati, e nonostante le situazioni estremamente pericolose continuava a fotografare e filmare gli eventi. Lo ha fatto anche in Israele e in Bosnia.

Tuttavia sarà proprio la guerra a segnarla. La sua grande volontà di raccontare ciò che succede nei territori devastati dagli scontri le è costata cara: nel 1992 a Sarajevo viene colpita da un proiettile che le frantuma mascella, denti, lingua.
Operata in loco e poi alla Mayo Clinic negli Usa, riacquistò la parola dopo moltissimo tempo e, come riportano vari siti del settore, e come ha ricordato lo stesso corrispondente della CNN Stefano Kotsonis, suo collega, alla domanda “cosa pensa dell’uomo che ti ha sparato?”, lei ha risposto: “Siamo entrati nella loro guerra. È giusto. Loro sono in guerra e io mi sono intromessa”.
Poi aggiungeva con grande autoironia: “Parlo come se fossi sempre ubriaca”.
In ospedale trascorse circa 6 mesi. Tornò a lavorare appena possibile e scelse di nuovo Sarajevo (1994), poi il Medio Oriente: voleva intervistare a tutti i costi in via esclusiva Yasser Arafat. A tal fine si nascose con i palestinesi in protesta; poi la ritroviamo a Baghdad a filmare le ultime ore del regime di Saddam Hussein.

A 58 anni le diagnosticarono una forma aggressiva di tumore al colon. La sua ironia non venne meno neppure dopo una diagnosi senza speranza: “Mi sarebbe piaciuto pensare che sarei uscita di scena con un po’ più di stile… L’importante però è sapere che hai vissuto la tua vita al massimo.

Potresti essere un miliardario, ma non potresti pagare per fare le cose che abbiamo fatto”. Ritornando alle cose in comune tra “la signora in nero” e Lucy Lawless, a mio avviso sono entrambe forti, con il piglio da combattenti e con quella scintilla di consapevolezza negli occhi. Due guerriere nella vita e anche cinematograficamente parlando.

Non per niente, dopo anni di successi anche grazie alle sei stagioni di “Xena – Principessa guerriera”, Lucy Lawless ha scelto di cambiare “punto di vista”, di fare regia e di raccontare proprio lei Margaret Moth, uno dei primi grandi esempi di camerawoman e di coraggio.

Simona Merlo
@smwriter su Instragram

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